La Complessità: Un Nuovo Sguardo sulle Scienze Umane
Keren Ponzo
11/12/20252 min leggere


Pensare la complessità
Siamo abituati a credere che comprendere significhi semplificare. Quando qualcosa ci sfugge, cerchiamo subito una spiegazione, una causa precisa, un percorso lineare che ci restituisca la sensazione di controllo. Eppure la vita, con i suoi intrecci, le sue dissonanze e le sue trasformazioni, non segue questa logica. Ogni volta che la riduciamo, le togliamo parte della sua verità.
Edgar Morin, che ha fatto della complessità il cuore del suo pensiero, ricorda che conoscere non è separare, ma collegare. Ogni fenomeno, umano o naturale, è parte di un insieme più vasto, e non può essere compreso se isolato dal suo contesto. La realtà è un tessuto di relazioni, e il pensiero che vuole capirla deve saper intrecciare, non recidere. Pensare in modo complesso significa accettare che il mondo non si lascia ordinare in modo definitivo, che l’incertezza non è un difetto ma una dimensione costitutiva del reale.
Un’eco di questa visione si trova nella fisica di Werner Heisenberg, quando afferma che l’osservatore non può essere neutrale: il suo sguardo modifica ciò che osserva. La conoscenza non è mai esterna all’oggetto, ma nasce da una relazione. Se lo sguardo trasforma ciò che tocca, allora comprendere è sempre anche un atto di partecipazione.
Accogliere la complessità non significa rinunciare a pensare, ma imparare a pensare diversamente. Significa spostarsi da una logica della certezza a una logica della relazione, da un pensiero che pretende di dominare a un pensiero che si espone, che accetta il rischio del dubbio, che sa sostare nella pluralità.
Questo passaggio non è immediato. Richiede un esercizio, una disciplina. La filosofia, in questo senso, è una palestra del pensiero complesso. Non perché offra risposte, ma perché educa a convivere con le domande. Le pratiche filosofiche — la riflessione dialogica, l’analisi dei concetti, la sospensione del giudizio — allenano lo sguardo a cogliere le connessioni invisibili, ad abitare la contraddizione senza precipitare nel relativismo.
Filosofare non è un lusso teorico, ma un modo di formare la mente alla complessità del vivere. È un esercizio di apertura: imparare a non irrigidirsi di fronte all’ambiguità, a non reagire alla confusione con il bisogno di semplificare. Ogni domanda filosofica autentica, se accolta con attenzione, ci sottrae all’immediatezza del giudizio e ci conduce verso una comprensione più ampia.
Quando il pensiero si allena alla complessità, anche il modo di affrontare la realtà cambia. Non cerchiamo più la via più rapida, ma quella più fedele alla verità del momento. Non chiediamo al mondo di essere chiaro, ma ci esercitiamo a vederne la profondità. In questo senso, pensare diventa un atto etico: un modo di prendersi cura del mondo e di sé stessi, senza pretendere di ridurli a uno schema.
La complessità non è un ostacolo da superare, ma un orizzonte da abitare. È la trama stessa della vita, che ci chiede di essere pensata non con la fretta di chi vuole risolvere, ma con la pazienza di chi vuole comprendere. La filosofia — quando non si limita a spiegare, ma accompagna, interroga e ascolta — può aiutarci a restare in questo spazio incerto e fecondo, dove la realtà si mostra nella sua interezza.
Nota di lettura
Per un’introduzione al pensiero della complessità, si possono leggere La Méthode (1977-2004) e La testa ben fatta (1999) di Edgar Morin, testi in cui il filosofo francese elabora l’idea di una conoscenza che unisce invece di separare.
Sul versante scientifico, il Prinzip der Unbestimmtheit di Werner Heisenberg, formulato nel 1927, apre la strada a una visione del mondo in cui osservatore e realtà si influenzano reciprocamente. Entrambi gli autori, da prospettive diverse, invitano a pensare la realtà come un sistema aperto, interdipendente e in costante trasformazione.
